Matteo Torre, Liceo Scientifico Statale “L. B. Alberti” di Valenza (AL)
matteo.torre1984@gmail.com
Sommario
I “problemi alla Fermi” sono un’eccellente strategia per proporre agli studenti la risoluzione di problemi sulla stima dell’ordine di grandezza, ma possono anche costituire il punto di partenza per problemi legati alla realtà e per prove di competenza, tipologie di esercizi che gli studenti della scuola secondaria di secondo grado sono sempre più sollecitati a saper affrontare. L’articolo illustra l’uso di questi problemi come esempio di prova autentica nell’ambito della metodologia didattica della Flipped Classroom, in corso di sperimentazione al Liceo Scientifico “L. B. Alberti” di Valenza (AL).
Introduzione
Nel 1899 John Dewey evidenziò la necessità di porre il discente al centro del percorso educativo: il fanciullo diventa il sole intorno al quale girano gli strumenti dell’educazione. Esso è il centro intorno al quale essi sono organizzati. Oggi, a più di un secolo di distanza, questa esigenza non è cambiata e, tanto meno, può essere trascurata. Recentemente sembra che alcuni filoni della ricerca didattica abbiano trovato nelle ICT il mantra a tutti i problemi. Ma le cose non sono così semplici se alla base non ci sono delle buone premesse metodologiche.
Nel corso degli ultimi decenni le nuove tecnologie hanno portato profondi cambiamenti nella nostra società non solo a livello economico, ma anche a livello sociale. Le nuove generazioni hanno avuto la fortuna di passare da un mondo che aveva pochi canali di comunicazione, talvolta uno solo (il libro di testo della materia e il docente che dalla cattedra impartiva nozioni da assimilare), a un mondo in cui i canali di comunicazione e di trasmissione delle informazioni sono molti, differenti ma connessi tra loro, anche se non tutti sempre affidabili. Questo cambiamento, al posto che essere visto come un vantaggio verso la pluralità delle idee, verso una visione più ampia e migliore delle tematiche, sembra aver creato una difficoltà di comprensione e di comunicazione intergenerazionale e, di conseguenza, un problema nell’educazione dei giovani. Le conquiste tecnologiche recenti non hanno trovato terreno fertile nel mondo scolastico e spesso si dice che la causa sia stata un corpo docente non sempre sufficientemente motivato a recepirle. Nel contempo gli studenti se ne sono appropriati per i loro usi, amplificando la separazione tra generazioni.
La realtà a mio giudizio è parzialmente differente. Il corpo docente era ed è, in molti casi, disposto ad accettare il cambiamento e l’introduzione delle ICT nella prassi didattica a patto, però, di una solida base pedagogica e metodologica che supporti tale “rivoluzione”. Gli studenti sono ormai così assuefatti alle nuove risorse tecnologiche da non riconoscere le loro potenzialità didattiche e comunicative, oltre che a non saper discernere quelle affidabili da quelle che propinano fake news.
In quest’ultimo decennio diverse scuole italiane sono riuscite a colmare questo vuoto comunicativo e a superare l’ostacolo alla partecipazione attiva dello studente al proprio processo di apprendimento ricorrendo alla metodologia didattica della Flipped Classroom1 , sviluppatosi nelle scuole statunitensi ma che trova solide basi teoriche nelle dottrine di John Dewey e Maria Montessori.
Nel seguito cercherò di sintetizzare la metodologia della Flipped Classroom, contestualizzandola nell’esempio del mio istituto il Liceo Scientifico statale “L. B. Alberti” di Valenza (AL), e illustrerò come i “problemi alla Fermi” possano costituire un esempio di prova autentica per competenze, tipologia di esercizi sempre più ricercata dalla moderna prassi didattica ma che trova una difficile collocazione sia all’interno delle linee guida ministeriali, sia della tradizionale didattica basata sulla lezione frontale.
La Flipped Classroom
Il modello Flipped Classroom consiste nell’invertire i tradizionali momenti didattici, consentendo allo studente di seguire le spiegazioni a casa e di svolgere le esercitazioni a scuola, per favorire l’apprendimento attivo dello studente (Fig. 1). Effettuare questa inversione dei momenti fondamentali dell’apprendimento affonda le sue radici in due motivi: uno di carattere sociale, l’altro di natura pedagogica-didattica.
La diffusione di Internet ha modificato radicalmente la distribuzione e l’acquisizione del sapere, con la conseguenza che in ambito scolastico non è più caratteristica unica del docente quella di essere la fonte dell’informazione. Ciò non significa che il ruolo del docente debba essere affidato a macchine guidate da sequenze di azioni programmate, come suggeriva Skinner2, anzi come evidenziano Maglioni e Biscaro nel loro testo3 una competenza non immediatamente evidente dall’esterno, ma specifica e unica dell’insegnante, che non può essere sostituita da nessuna tecnologia moderna, è il suo essere anche educatore.
Nei due momenti previsti dal metodo Flipped Classroom sia l’insegnante che lo studente interpretano nuovi e differenti ruoli rispetto a quelli tradizionali. L’insegnante deve predisporre dei materiali multimediali, preferibilmente autoprodotti, che trattino esaustivamente il contenuto delle lezioni; lo studente è tenuto a studiare tali materiali a casa, individualmente e prima della lezione in aula, al fine di raggiungere gli obiettivi prefissati.
Fig. 1 – La piramide didattica della Flipped Classroom.
L’insegnante non ha più necessariamente il ruolo di dispensatore delle conoscenze, piuttosto deve saper dirigere gli allievi sulla corretta strada che li porta alla conquista di tali conoscenze. Lo studente, d’altro canto, non è più l’uditore passivo di una lezione frontale, ma diventa il responsabile del proprio apprendimento. Le basi teoriche di questo modello didattico si possono ritrovare nelle dottrine di John Dewey e di Maria Montessori, oltre che nella moderna pedagogia che predilige l’aspetto costruttivista e laboratoriale dell’apprendimento.
Dewey, infatti, definisce e dà luogo alla scuola attiva, ovvero una scuola, vista come istituzione sociale, che rappresenti la vita attuale e che metta il bambino a contatto con le difficoltà del mondo esterno, incoraggiandolo e guidandolo nelle strategie e nelle azioni che egli è portato a compiere. La sua scuola viene definita anche progressiva, ovvero l’ambiente in cui il bambino vive e si sviluppa in modo progressivo, cioè per gradi, con il susseguirsi di esperienze che portano ad un’educazione sempre più profonda. Famosa è la frase di Dewey a tal proposito, che riassume l’importanza che egli attribuisce all’educazione ed al metodo attivo: Education is not a preparation for life, education is life itself. La Flipped Classroom può quindi essere pensata come una rivisitazione in chiave moderna e tecnologica della scuola attiva di Dewey.
Il metodo Montessori si basa principalmente sull’idea che l’allievo deve essere libero: libero di sperimentare spontaneamente, libero di esprimere la propria creatività innata, libero di coltivare i propri interessi autentici e persino libero di muoversi per raggiungere la padronanza di sé stesso e del proprio corpo. Maria Montessori, come Dewey, pensa ad un’istruzione personalizzata ed adattata ai bisogni degli studenti, in cui le attività pratiche e laboratoriali svolgono un ruolo fondamentale, promuovendo l’apprendimento e la crescita spontanea. Nel metodo Montessori, l’educazione viene incentrata sulle necessità del soggetto che apprende, perciò individualizzata, e l’educatore svolge, anche qui come nella Flipped Classroom, un ruolo di guida e sostegno nell’affrontare le difficoltà.
Il primo esperimento di Flipped Classroom documentato venne messo in atto da due insegnanti statunitensi nell’anno scolastico 2007-2008, Jonathan Bergmann e Aaron Sams, presso la Woodland Park High School nello stato del Colorado4. Nel giro di pochi mesi dall’inizio dell’esperienza di Bergmann e Sams, iniziò a circolare la notizia di questo innovativo metodo didattico prima nella vicina scuola di Cañon City (Colorado) ed in seguito sempre più su larga scala5 arrivando sino all’Italia a partire dall’anno scolastico 2013-2014 quando approda al Liceo “M. Gioia” di Piacenza e all’Istituto”Paciolo-D’Annunzio” di Fidenza, all’Istituto Tecnico “E. Fermi” di Roma (i cui responsabili sono i già citati professori Maurizio Maglioni e Fabio Biscaro), all’IPSIA “F. Corni” di Modena, all’I.I.S. “Bosso Monti” di Torino e, a partire dall’anno scolastico 2015-2016 all’I.I.S. “B. Cellini” di Valenza (AL) diretto dalla dott.ssa M. Teresa Barisio (Fig. 2).
In Italia le poche sperimentazioni stanno avvenendo perché i docenti sono convinti che la Flipped Classroom sia più efficiente della classica lezione frontale conclusa dai compiti per casa, ma soprattutto perché in termini di gestione del tempo l’approccio sembra decisamente migliore rispetto a quello tradizionale, recuperando tempo per approfondimenti e per un possibile ampliamento del programma verso le competenze chiave. Grazie al metodo Flipped Classroom, inoltre, è possibile riorganizzare completamente i tempi didattici ed accrescerne l’efficacia, anche attraverso la libertà di espressione delle potenzialità individuali e collettive, garantendo l’inclusività per ogni tipologia di alunno proprio perché i tempi di apprendimento sono decisi dall’alunno stesso e non esclusivamente dal docente6.
Fig. 2 – Una classe Flipped dell’Istituto “B. Cellini” di Valenza (AL) al lavoro.
Queste poche righe non hanno, ovviamente, la pretesa di esaurire tutte le informazioni sulla Flipped Classroom, ma vogliono farci riflettere sulla consapevolezza che ogni specialista del settore scolastico dovrebbe avere: le tecnologie informatiche stanno avanzando rapidamente e grazie ad esse il mondo dell’educazione può mutare divenendo più d’avanguardia ed efficace per le nuove generazioni di alunni. Il modello Flipped Classroom, seppur la sua attuale limitata diffusione non consenta la raccolta di dati statistici significativi sulla sua efficacia, sembra apportare al tradizionale metodo di insegnamento quell’aggiornamento in chiave moderna e tecnologica di cui si necessita lasciando il docente al centro del processo educativo degli allievi.
Compiti autentici e Problemi alla Fermi
Il modello Flipped Classroom gioca un ruolo molto importante anche nel quadro della progettazione didattica per competenze che, sia pure molto complessa nella sua realizzazione, viene con esso agevolata. Questa agevolazione è mediata dalla creazione da parte del docente di prove (o compiti) autentici.
A scuola, abitualmente, vengono assegnati compiti nei quali è richiesto agli studenti di utilizzare le conoscenze possedute per fare qualcosa. Alcuni di questi compiti sono tipicamente scolastici e cioè semplici, brevi, quasi istantanei, altri possono essere “autentici” cioè situati in contesti reali, significativi e possono riguardare situazioni quotidiane o essere strettamente collegate ad un aspetto disciplinare. In ogni caso essi possiedono un importante valore anche al di fuori del contesto classe. La prova autentica è, quindi, un compito che gli studenti affrontano per risolvere un problema complesso connesso al curriculum scolastico e in rapporto significativo con la realtà.
Gli studenti risolvendo questa tipologia di compito dimostrano il possesso di conoscenze e competenze chiave e attivano risorse cognitive ed emotive. Esso si fonda sull’agire per risolvere un problema aperto, in cui è necessario formulare ipotesi per fronteggiare gli esiti di incertezza attivando saperi e competenze anche trasversali. Inoltre, gli studenti mobilitano competenze multidisciplinari e immaginano uno scenario di applicabilità per il problema in cui si prevede, anzi spesso è proprio richiesto dal problema stesso, di tornare sui propri passi per migliorare gli esiti raggiunti e le soluzioni proposte.
Nell’ambito della didattica della fisica ho potuto personalmente sperimentare che i “Problemi alla Fermi” costituiscono, sia per la metodologia della Flipped Classroom che per il metodo tradizionale, un eccellente esempio di prova autentica. Si definisce Problema alla Fermi un esercizio di stima ideato per insegnare agli studenti l’importanza di identificare chiaramente le assunzioni fatte in un problema e per aiutarli a comprendere, attraverso numero molto grandi o molto piccoli, l’importanza di usare l’approssimazione per risolvere un problema di fisica. Essi solitamente consistono nel fare ipotesi motivate su quantità richieste dal problema che sembrano impossibili da calcolare, date le limitate informazioni disponibili. Questi problemi prendono, ovviamente, il nome dal fisico Enrico Fermi (1901 – 1954), premio Nobel per la fisica nel 1938, il quale era conosciuto per la sua abilità nel fare buoni calcoli approssimati con pochi o nessun dato effettivo. Un esempio ben documentato è la stima che Fermi fece sulla potenza sviluppata dalla bomba atomica durante il Trinity test, basandosi soltanto sullo spostamento di pezzetti di carta caduti dalla sua mano!7
I problemi alla Fermi, inoltre, sono problemi aperti, cioè non ammettono un’unica soluzione, e richiedono la capacità di “predire” il risultato di un problema complesso, sviluppando la visione d’insieme di un problema reale tramite competenze trasversali. Per chi si occupa di didattica, appare subito evidente che questa tipologia di esercizi ha tutte le caratteristiche per essere considerata una prova autentica perché contiene molti indicatori di competenze esperte:
- Capacità di ricostruire il problema ed eventualmente di scomporlo in sotto-problemi.
- Repertorio di strategie risolutive molto ricco che comprende competenze scientifiche chiave.
- Sviluppo di abilità auto-regolative.
- Sensibilità del contesto.
- Passaggio dal SAPER FARE al SAPER AGIRE.
Infine, a mio giudizio, i problemi alla Fermi sono in grado di fornire agli studenti più esperti tecniche risolutive di problemi di realtà in vista dell’Esame di Stato conclusivo della scuola secondaria di secondo grado.
Per capire meglio le potenzialità dei Problemi alla Fermi riporto un esempio che costituisce una rivisitazione di un famoso problema di stima che Fermi proponeva ai suoi studenti americani alla prima lezione del suo corso8: Quanti accordatori di pianoforte ci sono a Roma? Senza paragonarmi ovviamente a Fermi, io stesso propongo in una delle lezioni introduttive del corso di fisica del primo anno di liceo ai miei studenti questo quesito che, tra le altre cose, appartiene alla categoria di problemi alla Fermi scomponibili, in cui per proporre una soluzione è necessario suddividere il quesito in informazioni più limitate e più facili da stimare. Con i ragazzi di solito procedo stimando le seguenti grandezze:
- la popolazione di Roma (stima: 106 abitanti);
- il numero di pianoforti per abitante (stima: 4 ogni 1000 abitanti, considerando anche le scuole di musica);
- la frequenza con cui si accorda un pianoforte (stima: 1 volta all’anno);
- il tempo necessario per accordarlo (stima: mediamente 2 ore);
- le ore di lavoro annue di un accordatore (stima: 2000 ore annue).
Le stime che richiedono un ragionamento più logico-matematico riguardano il tempo di accordatura, per cui i ragazzi propongono un tempo medio di 90 secondi per accordare un tasto degli 88 che ogni pianoforte possiede, e il numero di pianoforti per abitante, per cui i ragazzi propongono che su un 10% di musicisti tra la popolazione romana solo il 4% di essi (comprendendo anche le scuole di musica) possieda un pianoforte.
Dalle stime proposte si deduce che per i 4000 pianoforti della città servono 4 accordatori, poiché in un anno l’accordatore stakanovista lavora 2000 ore annue e riesce ad accordare 1000 pianoforti, visto che sono stimate due ore come tempo per l’accordatura di un pianoforte. I ragazzi si sorprendono sempre nell’apprendere che nelle Pagine Gialle di Roma del 2015 alla voce “Pianoforti” si trovano 6 inserzioni di ditte specializzate che si occupano di accordarli!
La bellezza, che per alcuni si traduce in un ostacolo meta-cognitivo, dei problemi alla Fermi è che non esiste un’unica soluzione giusta, ma tante proposte di soluzione, tutte ugualmente credibili, su cui è possibile discutere aumentando il circolo virtuoso delle competenze trasversali messe in gioco9. Competenze che vanno dalla cultura generale, alle abilità nell’uso dei motori di ricerca, dalla logica, alla conoscenza del mondo reale.
Da quando l’I.I.S. “B. Cellini” di Valenza (AL) ha scelto di proporre ai propri iscritti la possibilità di scegliere la metodologia Flipped Classroom per l’intero corso del Liceo Scientifico, le iscrizioni sono aumentate e la necessità di innovare e mantenere attuali le pratiche di classe è diventata un dato di fatto. Con le mie classi ho quindi iniziato a proporre, risolvere e a chiedere agli studenti di inventare problemi alla Fermi durante le mie ore di fisica e di matematica. Al problema degli accordatori di pianoforte ne sono seguiti molti altri interessanti, alcuni bizzarri e alcuni anche di grande impatto emotivo. Ne propongo nel seguito una lista selezionata10:
- Se tutta la popolazione mondiale si radunasse in uno stesso luogo, quanto spazio occuperebbe?
- E quale sarebbe la loro massa totale?
- Quanti pannolini per bambini (usa e getta) si consumano in un anno in Cina?
- Quante palline da golf servono per riempire la nostra scuola?
- Quante pile da 1,5 V occorrerebbero per sostituire il serbatoio di benzina della tua automobile?
- Sarebbe davvero possibile per l’Uomo Ragno fermare un convoglio della metropolitana?
- Ha più potenza per kilogrammo il Sole o un criceto?
- Quanto terreno servirebbe se sostituissimo tutte le centrali elettriche con pannelli solari di ultima generazione?
- Di quanto si accorcia mediamente la speranza di vita di un fumatore accanito con ogni sigaretta fumata?
Voglio riportare la soluzione proprio di questo ultimo quesito che un gruppo di studenti, che ora frequentano la 4°B Liceo Scientifico, ha proposto e che è particolarmente utile dal punto di vista sociale, visto che tratta di una tematica che può aiutare la sensibilizzazione e la campagna contro il fumo, un problema che riguarda molti ragazzi in età scolare. Per prima cosa è necessario stimare il numero medio di sigarette fumate da un fumatore medio. Partiamo dall’assunzione che il fumo uccide tramite il cancro e le malattie cardiache, e che questi disturbi si manifestano solitamente dopo i 50 anni. Il fumatore medio deve perdere più di un anno di vita (altrimenti il problema non sarebbe così grave) e meno di 30 anni (visto che la speranza di vita si aggira sugli 80 anni e il fumo inizia a uccidere dopo i 50 anni). Prendendo la media geometrica tra questi due valori, deduciamo che i fumatori muoiono circa cinque anni prima dei non fumatori. Se una persona inizia a fumare a 18 anni e continua fumare fino alla morte a 78 anni al ritmo di un pacchetto di sigarette al giorno, in totale nella sua vita quella persona ha fumato circa 50.000 sigarette. Se adesso facciamo l’ipotesi che ogni sigaretta contribuisca allo stesso modo alla mortalità, significa che ogni sigaretta che fumiamo ci deruba di un’aspettativa di vita:
Dunque ogni sigaretta ci sottrae un tempo di vita circa uguale al tempo che si impiega per fumarla! Confrontando i dati reali prodotti da una pubblicazione scientifica11 abbiamo trovato che la speranza di vita tra fumatori e non fumatori è stimata in 6,5 anni, che il fumatore medio fuma un po’ meno di un pacchetto di sigarette al giorno e che ogni sigaretta costa in media 11 minuti di vita…! Con i ragazzi abbiamo discusso delle ipotesi adottate nel proporre la soluzione e in particolare sull’ipotesi secondo cui ogni sigaretta provoca lo stesso danno, assunzione probabilmente infondata visto che dipende dal sistema biologico, e sugli aspetti probabilistici legati all’essere fumatore: alcuni fortunati vivono a lungo malgrado siano fumatori, ma mediamente un fumatore muore prematuramente rispetto all’aspettativa di vita media. Anche alla luce delle ricerche scientifiche, le ipotesi che il gruppo di studenti ha fatto (ignaro di ogni statistica già effettuata da gruppi di ricerca titolati) appare una buona e credibile stima ed esso è stato oggetto di un dibattito realizzato unitamente ai docenti di scienze, in cui sono stati discussi i problemi e le patologie legate al fumo e a cui sono stati invitati tutti gli studenti della scuola che si sono dichiarati fumatori.
Conclusioni
Problemi alla Fermi e Flipped Classroom sembrano essersi rivelati un binomio vincente. Se da un lato la didattica, in particolare quella delle materie scientifiche, ha compreso che una spinta al cambiamento è stata data dai nuovi modelli di indagine proposti dagli strumenti e dalle risorse delle TIC, dall’altro appare evidente che allo studente del XXI secolo non è più sufficiente proporre un compito “tradizionale”, ovvero basato esclusivamente sulle conoscenze e sulla ripetizione di procedure meccaniche, ma è necessario proporgli un compito che lo impegni attivamente e cognitivamente e che gli riservi un ruolo centrale nella costruzione di quelle conoscenze chiave per il suo sviluppo scolastico e per il suo futuro professionale. Sono quindi necessari “compiti autentici” che tengano conto dei diversi registri emozionali legati all’apprendimento: un buon compito autentico è denso di opportunità di apprendimento, è sempre costituito dall’intreccio della realtà in cui gli studenti vivono e i loro interessi (l’aspetto soggettivo), le risorse presenti a scuola e nel territorio (l’aspetto oggettivo) e i contenuti disciplinari da affrontare (l’aspetto didattico).
I Problemi alla Fermi costituiscono un valido strumento anche perché ci consentono di comprendere e interpretare in maniera corretta i tanti numeri con cui veniamo bombardati dai mezzi di informazione e che, spesso, ci confondono perché pieni di contraddizioni e di false interpretazioni. La Flipped Classrom è un metodo innovativo molto utile per stimolare gli studenti e per renderli centrali e protagonisti del loro processo di crescita intellettuale e personale, ovviamente va adattata alla classe, alla disciplina e all’argomento perché, allo stesso tempo, è vero che non esiste un solo metodo didattico perfetto in ogni caso possibile ma esiste un unico elemento imprescindibile: l’emozione che ogni insegnante deve trasmettere ai propri allievi nell’accrescere la propria cultura.
Note bibliografiche
- Cecchinato, G., & Papa, R. (2016). Flipped classroom, innovare la scuola con le tecnologie del Web 2.0. Torino, Italy: UTET Università.
- Skinner, B. F. (1954). The science of learning and the art of teaching. Harvard Educational Review, 24, 86-97.
- Biscaro, F., & Maglioni, M. (2014). La classe capovolta, innovare la didattica con la flipped classroom. Trento, Italy: Erickson.
- http://www.thedailyriff.com/articles/how-the-flipped-classroom-is-radically-transforming-learning-536.php.
- Bergmann J., & Sams A. (2012). Flip Your Classroom. Reach Every Student in Every Class Every Day, ISTE.
- Cecchinato, G. (2014). Flipped classroom: innovare la scuola con le tecnologie digitali, TD Tecnologie Didattiche, 22(1), 11-20.
- http://www.dannen.com/decision/fermi.html
- Enrico Fermi era spesso solito proporre all’inizio dei suoi corsi di fisica un problema simile: Quanti accordatori di pianoforte ci sono a Chicago? Quesiti di questo genere sfruttano metodi e ragionamenti logici di base, senza richiedere nozioni specifiche di fisica.
- Weinstein L., & Adam J. (2009). Più o meno quanto? Bologna, Italy: Zanichelli. http://www.dannen.com/decision/fermi.html [9] Shaw M., Mitchell R., Dorling D., Time for smoke? One cigarette reduces your life by 11 minutes, British Medical Journal, 320, 53, 2000.
- L’intenzione è quello di creare un database con i Problemi alla Fermi, ideati o trovati in rete dai ragazzi, che contenga anche le diverse soluzioni proposte dagli studenti.
- Shaw M., Mitchell R., Dorling D., Time for smoke? One cigarette reduces your life by 11 minutes, British Medical Journal, 320, 53, 2000